La banalità del Male 2.0 The Real Anthony Fauci – parte 4/5

Quarta parte della lettura di “The Real Anthony fauci” di Robert F. Kennedy Jr. Tema: l’epopea dell’AIDS, ovvero come Fauci diventò Fauci (a spese dei malati di AIDS e dei contribuenti americani). Non ricordo nemmeno più quando ho iniziato, ma sicuramente molti mesi fa. 900 pagine in inglese, perché nonostante sia stato il n.1 di vendite negli Stati Uniti, in Italia non l’ha ancora pubblicato nessuno (ad ottobre sarà un anno dalla sua prima uscita). Dopo avere pubblicato nelle precedenti tre parti il riassunto dettagliato delle trecento pagine dedicate al Covid (parte1parte2parte3 versioni intere… su Comedonchisciotte è pubblicata una versione più breve degli stessi post) cerco di riassumere le restanti 600 nelle prossime due puntate. Per chi volesse un post unico con tutto l’essenziale, c’è il riassunto pubblicato subito dopo l’uscita da Giovanni Zibordi (QUI il link) che tocca la gran parte dei punti essenziali del libro. Per chi, invece, si fosse affezionato (?) ai resoconti del sottoscritto, buona continuazione…

La parte del libro successiva al Covid è prevalentemente dedicata alla lunga e complessa vicenda dell’AIDS, sulla quale Anthony Fauci ha costruito tutta la sua carriera. E che probabilmente era (ed è) – Kennedy non lo dice apertamente, ma è piuttosto chiaro – tutt’altro che una malattia infettiva. Il lettore medio strabuzzerà gli occhi di fronte a questa affermazione (come del resto ho fatto io), ma proprio la portata della sorpresa ci fa capire la portata del “lavoro” (si fa per dire) del piccolo medico dagli occhi porcini. Quando una misteriosa e letale sindrome si diffonde nelle comunità gay delle principali città americane, il National Institute of Allergology and Infectous Diseases (NIAID) dove lavora il dr Anthony Fauci è un sonnacchioso angolo della burocrazia federale: a quel tempo – primi anni ’80 – le malattie infettive sono una della meno frequenti cause di morte del paese e l’agenzia sopravvive grazie ai progetti di ambito militare, peraltro sempre più scarsi. Il pericolo è il ridimensionamento dell’intero dipartimento, tanto che Kary Mullis (il futuro premio Nobel per l’invenzione del test PCR) raccontò apertamente che “[al NIAID] tutti erano in cerca di una nuova epidemia”. E Fauci, lo si sarebbe visto nei decenni seguenti, era l’uomo giusto per scovarla, ma andiamo con ordine. L’AIDS si annunciò nel 1981 con una cinquantina di casi tra i gay di Los Angeles, San Francisco e New York, ma ancora nel 1982 i fondi federali per la ricerca su questa malattia ammontavano a soli 297k dollari, fino a che, nel 1984, un ricercatore fin lì poco noto del National Institute of Health (NIH, da cui il NIAID dipendeva), Robert Gallo, rubando una tesi sostenuta dal francese Montagnier, annunciò di avere trovato il legame tra AIDS e un virus, anzi, un retrovirus (la differenza non è da poco), detto HIV.

Robert Gallo e Luc Montagnier

Dal che Fauci, nel frattempo diventato capo del NIAID, fece discendere che, se la malattia era di origine virale, la competenza era sua. Una volta presa in mano la situazione, Fauci scatenò la grancassa mediatica americana, sempre alla costante ricerca di storie drammatiche, e – diciamocelo – cosa può esserci di più drammatico e pruriginoso per la puritana società americana di una malattia che portava ad una brutta morte e si trasmetteva per via sessuale? Grancassa fu, con un mix di strategie che oggi ben conosciamo, ovvero interventi allarmistici in lungo e in largo, stime esorbitanti di contagi e morti futuri e conteggio distorto delle morti già avvenute (tutti i morti positivi all’HIV erano contati come morti di AIDS anche se non avevano alcuno dei sintomi) e già nel 1986 i fondi federali per l’AIDS erano saliti a 63 milioni di dollari, diventati 146 milioni l’anno dopo e 3 miliardi nel 1990. Con questi fondi, Fauci comprò quasi tutto quello che c’era da comprare, sostiene Kennedy, a partire dal totale ed incondizionato appoggio dei media, al punto di potere, negli anni successivi, andare in TV e affermare qualsiasi cosa riguardo all’AIDS senza che nessuno ponesse mai la minima domanda o facesse qualche semplice obiezione. Il suo potere fu dimostrato in modo plateale alla comunità scientifica fin dal principio, quando un’onda d’urto senza precedenti praticamente azzerò dall’oggi al domani, racconta RFK, la carriera del più prestigioso e rinomato virologo dell’epoca, Peter Duesberg, che aveva avuto l’ardire di dubitare della correlazione virus HIV-AIDS (che lo stesso Montagnier mise in dubbio non molto tempo dopo) e di chiedere qualche tipo di prova scientifica a sostegno. Duesberg, dopo avere posto in dubbio la correlazione HIV-AIDS, non fu più in grado di finanziare nemmeno un progetto di ricerca nei dieci anni successivi, mentre nei precedenti 20 anni aveva avuto una percentuale di approvazioni del 100%. Nessun media disposto ad intervistarlo, nessuna rivista “scientifica” disponibile a riportarne le argomentazioni. Niente.

Peter Duesberg

E Duesberg era forse il n.1 nel suo ramo di studi. Colpirne uno per educarne cento, diceva quel tale in estremo oriente. Kennedy stesso, racconta, ha subito un bando simile a Duesberg dopo aver cominciato ad occuparsi di vaccini ed industria farmaceutica, passando da quasi duecento eventi l’anno dove era chiamato a parlare (quando si occupava di inquinamento) a due o tre. Sul piano farmacologico, invece, Fauci, grazie ai fondi che affluivano in modo crescente per la ricerca sull’AIDS, aveva messo in piedi una estesa schiera di “psudo-ricercatori”, chiamati Principal Investigators (PI) che, agendo formalmente fuori dal perimetro del NIAID, al fine di effettuare ricerche mediche apparentemente indipendenti sui potenziali nuovi farmaci destinati all’esame degli enti federali, in vista di una possibile autorizzazione. Peccato che i soldi necessari a tale attività venissero da BigPharma, direttamente o tramite i cospicui finanziamenti del NIAID di Fauci, a sua volta destinatario di cospicue royalties da BigPharma in caso di approvazione dei farmaci. Questi trials coinvolgevano le maggiori università del paese ed i loro laboratori, anch’esse sempre alla ricerca di nuovi finanziatori, generando un vorticoso giro di denaro, proveniente però dagli stessi soggetti sotto esame, il che dava a questi ultimi la sostanziale certezza che il processo sarebbe sempre finito con l’approvazione, che il farmaco testato funzionasse o no e indipendentemente dal presentarsi o meno di effetti avversi. Citando direttamente Kennedy [traduzione mia]: “Nel 1987 i finanziamenti ai PI ammontavano a 4,6 miliardi di dollari e beneficiavano circa 1300 istituti di ricerca in tutto il paese; oggi il solo Fauci controlla circa 7,6 miliardi di dollari in soli fondi discrezionali”. Ma c’era di più: i PI, dato il loro ruolo di “acchiappafondi” per le Università, sedevano molto spesso negli organi direttivi degli atenei, e ne determinavano gli orientamenti di ricerca, decidendo dove guardare e soprattutto dove NON guardare (ad esempio su sperimentazioni di farmaci off label, o a basso costo). Inoltre, grazie a questi ruoli accademici così acquisiti, i PI costituivano la maggioranza dei membri degli organismi “indipendenti” consultati dalla FDA per stabilire i protocolli di uso dei vari medicinali, primo fra tutti il VRBPAC (Vaccines and Related Biological Products Advisory Committee), che stabiliva – tra le altre cose – se e quando i nuovi vaccini erano da considerarsi “sicuri ed efficaci”… Ciliegina sulla torta: chi è il capo del NIH Bioethics, ovvero il comitato incaricato di valutare il profilo etico dei farmaci destinati all’esame del FDA? La signora Christin Grady che per puro caso è … la moglie di Anthony Fauci. Tutto chiaro, ora?

Fauci con la moglie Christin Grady ad un ricevimento pubblico

Fauci, in sostanza, lungo i due decenni di impegno esclusivo sul tema AIDS, andò sviluppando un vero e proprio “protocollo standard acchiappasoldi” attraverso il controllo dell’intera filiera riguardante le malattie virali che, svolgendosi su alcune fasi successive, mirava a creare sempre nuove occasioni di profitto per sé e per le case farmaceutiche che collaboravano con lui. Il farmaco-pilota che trasformò il NIAID di Fauci in una vera e propria “macchina da farmaci” fu il letale AZT che, dopo un percorso tutt’altro che lineare, costituì per lungo tempo (troppo) lo “standard of care” per il trattamento dell’AIDS. Sviluppato inizialmente negli anni ’60 per la cura della leucemia, AZT è un “DNA chain terminator” (testuale) che, nelle intenzioni del suo inventore Jerome Horwitz, doveva distruggere il DNA delle cellule tumorali ed impedirgli di riprodursi. Le sperimentazioni, però, trovarono che era troppo tossico anche per trattamenti di breve durata, perché colpiva indiscriminatamente anche le cellule sane, al punto che lo stesso Horwitz bloccò ogni sperimentazione e, racconta RFK, “buttò via perfino i taccuini con gli appunti” che le riguardavano. Poi, nel 1985, un team della Duke University incaricato dal NIH di fare uno screening di tutti i farmaci in circolazione per trovare dei nuovi antivirali, sembrò scoprire che l’AZT uccideva in provetta il retrovirus HIV (insieme a molte altre cose, ma erano dettagli…). Burroughs Wellcome (avvertita da qualcuno …?) fiutò l’affare e andò a mettere sotto licenza l’AZT come farmaco contro l’AIDS, fissando da subito l’esorbitante prezzo di 10.000 dollari a trattamento (di un anno). Nello stesso momento Fauci stava prendendo in mano il NIAID e aveva bisogno di un successo per lanciare la sua nascente carriera. Il nascente esercito di PI fu sguinzagliato alla caccia di trials di successo sull’AZT, ma il farmaco non voleva proprio saperne di funzionare, anzi. Dopo tre anni di tentativi, il NIAID non aveva ancora un singolo studio che provasse l’efficacia dell’AZT contro l’AIDS, ma i medici sul campo, intanto, avevano sviluppato dei protocolli che, utilizzando altri farmaci già esistenti, avevano evidenziato una certa efficacia nel curare i sintomi di quella strana, indefinibile, malattia. Ma Fauci non cedeva: nessun trial specifico su questi farmaci sarebbe stato finanziato dal NIAID, che concentrava tutti i suoi sforzi solo su quel 5-10% di potenziali cure che erano sotto licenza di BigPharma, mentre gli altri erano definiti “notoriamente tossici” dal medico dagli occhi porcini. In mancanza di risultati scientifici, Fauci tornò a mobilitare i media, battendo sulla grancassa della paura, dipingendo l’AIDS come una malattia che avrebbe potuto colpire tutti, se non si fosse posto rimedio. La boutade di “un miliardo di malati di AIDS se non si fa nulla” fu diffusa da canali politici e, senza alcun contraddittorio, ripetuta a pappagallo dai media di tutto il mondo. Intanto, lui, dopo avere boicottato ogni trial su farmaci già in uso a basso costo, si rifiutava di autorizzarli al grido di “non ci sono sperimentazioni valide, non ci sono dati!”. Questo diventerà un mantra di tutte le successive epidemie, fino al recente attivo boicottaggio dei farmaci a basso costo contro il Covid (Ivermectina e Idrossiclorochina su tutti). In una drammatica audizione al Congresso nel 1988, Fauci ammise che, se fosse stato lui il malato di AIDS, avrebbe utilizzato una delle medicine che il NIAID si rifiutava di testare… la stessa cosa disse trentadue anni dopo riguardo al Covid, ammettendo che avrebbe preso l’Idrossiclorochina, se fosse stato lui il malato. Dopo la catastrofica audizione, per conservare posto (e soldi) Fauci decretò che il NIAID avrebbe sperimentato i farmaci alternativi – racconta Kennedy – ma dietro le quinte, garantì ai suoi referenti di BigPharma che i trials gestiti dai suoi PI sarebbero stati truccati in modo da farli fallire. Sì, avete letto bene: i trials sarebbero stati truccati, quella volta sui farmaci anti AIDS e poi negli anni seguenti ancora e ancora su altre malattie, fino al già riportato caso dell’Idrossiclorochina ai tempi del Covid. Ma i trials, anche truccati, continuavano a dare buoni esiti, e allora Fauci cominciò a chiuderli anzitempo (“non troviamo volontari”, disse quella volta, e lo ripetè nel 2020 per i trials sull’Ivermectina)… tutto finì quando finalmente la FDA, imbottita di PI e accoliti di varia provenienza, finalmente approvò l’AZT sulla base di uno studio di soli quattro mesi (dovevano essere almeno sei, ma in questo modo gli effetti collaterali del farmaco ancora non si erano manifestati). Fino al momento in cui fu interrotto, lo studio mostrava un tasso di sopravvivenza più alto nel gruppo di coloro che avevano preso l’AZT rispetto al gruppo trattato col placebo e, ancora prima che i risultati fossero certificati, Fauci fece una delle sue mosse preferite: convocò la stampa. Lo fece personalmente: chiamò i suoi giornalisti “di fiducia” uno ad uno e li fece venire poco dopo al suo cospetto: nessun dato, nessuna verifica possibile, nessun documento; la sua parola doveva bastare. E bastò. Come dice testualmente Kennedy (p.368 – traduzione mia) “La scienza era diventata ciò che l’Ente regolatore diceva che fosse. Non ci sarebbe stata alcuna opportunità per i giornalisti di leggere i dati ambigui, né di valutare eventuali opinioni contrarie di altri esperti, o altre testimonianze.”.

Alcuni dei dati alla base dello studio, due anni dopo, finirono in mano ad alcuni giornalisti investigativi, che riuscirono a descriverli (su una rivista svizzera, senza particolari conseguenze negli USA) come sistematicamente truccati, ma solo dopo altri quattro anni un whistleblower del NIH rivelò la verità completa. I partecipanti più deboli alla sperimentazione venivano piazzati nel gruppo placebo, quelli del gruppo principale ricevevano trasfusioni continue e, quando gli effetti avversi erano troppo evidenti, venivano sostituiti con pazienti “nuovi”, mai trattati. In ogni caso, per non saper né leggere né scrivere, gli effetti avversi dei pazienti trattati con AZT non venivano quasi mai trascritti. Nonostante questo, lo stesso fauci ammise molti anni dopo che i benefici evidenziati nello studio erano “modesti”, ma alla FDA bastarono.

Nell’immediato, le azioni Burroughs Wellcome salirono del 45% già il giorno seguente l’annuncio. Il primo farmaco con il bollino NIAID era stato messo sul mercato. Da lì in avanti sarebbe stata tutta discesa. Precisa ancora Kennedy: “I Pis non avevano solo consegnato al NIAID il loro primo trial clinico di un farmaco di successo, futuro campione di vendite contro l’AIDS, ma avevano messo a punto un sistema perfettamente efficiente per sfornare nuovi farmaci in futuro”. Negli anni successivi all’introduzione dell’AZT, il numero dei morti aumentò vertiginosamente; nell’ultimo anno senza AZT erano morte, in tutti gli Stati Uniti, circa 12k persone di AIDS, cinque anni dopo i morti erano triplicati. Prima della modifica del protocollo di cura (con dimezzamento delle dosi) il tempo di sopravvivenza dei pazienti trattati con AZT era mediamente di 4 mesi.

Ma era davvero l’AIDS una malattia di origine virale, causata da un’infezione del retrovirus denominato HIV? Kennedy (ed io mi associo alla sua posizione) è molto cauto nel fare affermazioni definitive, poiché sul tema, di affermazioni definitive non ce ne sono mai state, ma attenzione: questo vale in un senso e nell’altro. Kary Mullis, premio Nobel per l’invenzione del test PCR, quello che venne usato per la verifica della presenza dell’HIV e che oggi è ancora estensivamente usato (abusato) nella diagnosi del Covid, disse chiaramente in varie occasioni negli anni ’90 che “gli esseri umani sono pieni di retrovirus (…) ci sono persone che hanno l’AIDS senza HIV ed altre che presentano l’HIV, ma non hanno l’AIDS (…) la gente mi chiede se l’HIV è o no la causa dell’AIDS, ma non c’è alcuno studio scientifico che lo dimostri oltre le parole di Robert Gallo. (…) Anzi, credo che i premi ed i riconoscimenti che ci sarebbero per chi riuscisse a dimostrarlo in modo definitivo sono talmente grandi che il solo fatto che ancora oggi [era il 1994, ma ciò è vero ancora oggi] nessuno l’abbia fatto è la prova più schiacciante che tale legame non esiste” (Pag.478).

Kary Mullis mentre ritira il premio Nobel

Ma se non è l’HIV la causa, allora da dove viene l’AIDS? Kennedy si pone la domanda ed elenca alcune ipotesi, e fa notare due cose: la prima è che l’AIDS è una malattia “sfuggente”, nel senso che non è mai esistito un elenco certo dei sintomi, e che nel tempo l’elenco delle patologie che gli sono state associate è andato sempre più allargandosi: l’AIDS dei gay newyorchesi è diverso da quello dei neri in Africa. Da qui anche una intrinseca difficoltà di cercarne le cause, al di là dello stabilire che tutte le sue manifestazioni derivavano dal mancato o insufficiente funzionamento del sistema immunitario. La seconda è un’ipotesi che nelle primissime fasi della malattia, quando ancora l’AIDS era “solo” un tema sanitario, era stata fatta da molti studiosi che si erano limitati ad osservare i dati. Ovvero che l’AIDS fosse una malattia che colpiva sì un determinato tipo di persone, che però non erano i positivi all’HIV (molti dei malati non lo erano), ma coloro che facevano uso sfrenato e prolungato di alcol e droghe, in particolare quelle chiamate “poppers”, ovvero le droghe sintetiche in uso nelle discoteche e nelle feste private di allora per scatenarsi (saltare in aria, come i pop corn, da qui il “poppers”).

Si dà il caso che gruppo sociale che usava massicciamente i poppers fosse proprio quello degli omosessuali delle grandi città, tanto è vero che il 100% dei malati di AIDS (almeno fino all’arrivo dell’AZT) era costituito da gay che conducevano esattamente quel tipo di vita. E non è neanche così strano pensare che, se una persona – gay o meno – abusa del proprio corpo imbottendosi di droghe e alcol per mesi, anni tutte le sere o quasi, alla fine il sistema immunitario, messo a dura prova, possa andare in tilt. Come non è così strano che, pensando all’AIDS africano, una vita condotta con scarsità di cibo, in pessime condizioni materiali e igieniche, in stress costante per la propria sopravvivenza, alla fine possa causare in molti individui un crollo del sistema immunitario. Tuttavia, ammettere che poteva essere lo stile di vita dei gay, e non un virus, la causa dell’AIDS avrebbe significato stigmatizzarli e porre in cattiva luce la loro comunità, per non parlare del fatto che le principali riviste gay avevano tra i propri inserzionisti più generosi proprio i produttori dei poppers, ovvero le case farmaceutiche. Ce n’era abbastanza perché la comunità gay (e BigPharma) accogliesse con grande sollievo la notizia che la causa della malattia che la stava flagellando fosse un virus, e non lo stile di vita di molti dei suoi membri, e fa nulla se la correlazione era stata annunciata solo da una conferenza stampa di un fino ad allora anonimo ricercatore del NIH. Erano in tanti a voler credere all’annuncio di Robert Gallo, chi per vendere nuove medicine (anziché smettere di vendere i poppers), chi per convogliare fiumi di risorse, chi per non smettere di drogarsi ogni sera, nella speranza folle che la medicina (la stessa che gli vendeva le droghe) potesse poi fare il miracolo di guarirlo.

Così, una volta “risolto” il problema dell’origine, Fauci passò alla fase seguente del piano, ovvero allargare il business: non gli bastavano i malati, voleva cercare anche gli asintomatici (ricorda qualcosa?).Tutti quelli che sono a rischio dovrebbero essere sottoposti al test [dell’HIV], anche se asintomatici” dichiarò garrulo ad uno sdraiato New York Times. In questo modo, negli anni seguenti, decine di migliaia di persone assolutamente asintomatiche, ma positive al test HIV, cominciarono comunque a curarsi prendendo AZT, il quale, oltre che garantire enormi profitti ai produttori, aveva un’altra caratteristica portentosa, agli occhi di Fauci: la sua assunzione prolungata generava esattamente gli stessi sintomi dell’AIDS, poiché faceva crollare il sistema immunitario. Bingo! Un positivo all’HIV, ma asintomatico, nel timore di morire di AIDS comincia ad assumere AZT. L’uso prolungato di AZT indebolisce progressivamente il suo sistema immunitario finchè il soggetto contrae una delle tante sindromi che sono considerate associabili all’AIDS e muore, convinto che l’inesorabile malattia lo abbia colpito nonostante l’AZT. Alcuni studiosi citati da Kennedy hanno stimato che oltre trecentomila persone, principalmente gay, siano morte tra il 1987 ed il 2019 a causa dell’AZT, credendo di avere contratto l’AIDS. Kennedy cita due casi di morti “da AZT” di sua diretta conoscenza, riguardanti personaggi famosi che frequentavano casa Kennedy: il ballerino Rudolph Nureyev e il tennista Arthur Ashe, primo nero a vincere Wimbledon, che, essendo risultati positivi all’HIV, insistettero per prendere la letale medicina pur essendo perfettamente sani.

Io, da appassionato di basket, potrei citare un esempio contrario, quello di Earvin “Magic” Johnson che, dopo l’annuncio della sua positività, si ritirò nel 1991 dall’attività agonistica. Tutti si aspettavano che si ammalasse in breve tempo, ma lui, a differenza di molti altri, non prese nulla e un anno dopo, visto che stava ancora benissimo, rientrò addirittura in attività vincendo l’oro olimpico a Barcellona con il Dream Team. Giocò ancora un paio di stagioni, segnate da polemiche di altri giocatori sui pericoli ai quali erano esposti a causa del potenziale di contagio dovuto ai contatti fisici che normalmente avvengono in una partita. Si ritirò una seconda volta a causa delle polemiche, ma negli anni successivi continuò a stare bene, giocando ancora una ultima stagione nel 1996, quando ormai era chiaro che i pericoli di contagio non esistevano. “Magic” non ha mai preso l’AZT e sta tuttora benissimo: è ancora popolarissimo ed influente nel mondo del basket e dello sport in generale e l’estate scorsa ha ricevuto “standing ovation” perfino da bagnanti in mare durante una breve vacanza in Sicilia. Che dire? Benedetto il momento in cui decise di non prendere nulla.

I 7 tipi di medicinali che compongono il cocktail anti AIDS odierno (Sito NIH). Notare il termine “fight”

Oggi l’AIDS si cura con un cocktail di medicinali da confezionare caso per caso tarando la cura sulle caratteristiche del paziente, e scorrendo la lunga lista che il NIH ha approvato, l’AZT c’è ancora, anche se è solo uno dei 46 possibili trattamenti (immagino e spero, ormai ignorato dai più). E la correlazione tra HIV e AIDS non l’ha ancora messa in discussione nessuno, nemmeno parzialmente, sebbene molti siano ormai disposti ad ammettere che, se mai l’HIV c’entrasse qualcosa, è perché viene innescato da qualcos’altro. Racconta Kennedy che nel 1987 Theresa Crenshaw, responsabile della Commissione speciale sull’AIDS istituita dal Presidente degli Stati Uniti, dichiarò che entro dieci anni un miliardo di persone sarebbero state malate di AIDS; nel 2007, ovvero altri dieci anni dopo la sua catastrofica previsione, e senza che nessun vaccino o cura definitiva fossero mai stati messi in opera, c’erano “solo” 33 milioni di persone HIV positive nel mondo, molte di queste, peraltro, perfettamente sane.

Nella prossima e ultima parte, parleremo del “post-AIDS” ovvero di come e quando il NIAID di Fauci passò all’industrializzazione delle pandemie, aiutato da un signore che negli anni ruggenti dell’AIDS era impegnato anche lui a cambiare il mondo, ma apparentemente in tutt’altra maniera: Bill Gates.

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